<<…nessuno oggi ha la minima idea di come si potranno assicurare a quattro miliardi di esseri umani una casa all’occidentale (anche rudimentale), un’automobile (o anche solo una bicicletta), la quantità di cibo abituale nei paesi industrializzati, il tutto grazie ai metodi idustriali.
(…)
…”il cibo è al centro dell’habitat”. Vivere significa avere acqua e cibo. Tutto il resto è molto importante, ma se ne può fare a meno per un certo periodo senza troppi danni. Se proviamo a classificare le cose indispensabili per la nostra esistenza, in funzione del tempo durante il quale possiamo vivere senza, otterremo il seguente ordine: aria, protezione climatica, acqua, cibo. Tutti gli altri bisogni vengono molto dopo.>> p.64
<<Potremmo caratterizzare ciò che distingue l’architettura di sopravvivenza dall’architettura classica osservando che cosa l’una e l’altra tentano di trasformare.
(…)
Quanto alla scelta dell’architettura classica, essa consiste nel trasformare il mondo per renderlo favorevole all’uomo, mentre quella dell’architettura di sopravvivenza consiste nel cercare di limitare le trasformazioni, conservando solo le più necessarie perché l’uomo sia in grado di sopravvivere in condizioni sufficientemente favorevoli (queste trasformazioni permettono l’edattamento dell’uomo e del suo ambiente a una “coesistenza pacifica”). In altre parole l’architettura classica trasforma le cose per adeguarle all’uso umano, mentre l’architettura di sopravvivenza prova a trasformare il modo in cui l’uomo impiega le cose esistenti (il che potrebbe cambiare la mentalità e il comportamento umano).
in questo contesto è interessante confrontare l’esempiodi Robinson Crusoe con quello dei soldati giapponesi che dopo la guerra sono sopravvissuti nella giungla. Robinson Crusoe è un colonizzatore che trasforma la sua isola (piante, animali e prodotti vari) per renderla il più possibile simile al suo paese d’origine… Per conservare le sue abitudini… egli distrugge la sua isola. Robinson Crusoe è, senza saperlo, un architetto.
I soldati giapponesi che dopo la guerra sono stati nascosti nella giungla per decine di anni, non erano degli eroi della letteratura. Essi cercavano solo di sopravvivere… Si sono nutriti della giungla, l’hanno abitata, hanno trasformato se stessi per potervi vivere. Questi soldati giapponesi perduti erano, senza saperlo, degli architetti della sopravvivenza.>> p.88-89
Yona Friedman, L’architettura della sopravvivenza. Una filosofia della povertà, Bollati Boringhieri, 2009