Le chiamano “house of hair” e il loro caratteristico colore scuro proviene dal colore delle capre, il cui pelo (fino a qualche decina d’anni fa) veniva filato e tessuto dalle donne beduine in strisce di stoffa grezza, poi cucite tra loro. La dimensione delle strisce, pressoché uguale in tutte le tende, era basata sulla dimensione dei telai portatili, da poggiare a terra, tutti di una stessa ampiezza, fissata in tempi antichi sulla lunghezza media dell’avambraccio. E se il nero assorbiva il calore, le schermature laterali in estate potevano essere rimosse lasciando la tenda aperta su un fronte ma, soprattutto, la stoffa, tessuta con una trama morbida, lasciava circolare l’aria permettendo la dispersione del calore. In inverno, sotto la pioggia il filo si gonfiava chiudendo le fessure nella trama. E il pelo delle capre, naturalmente oleoso, garantiva una discreta impermeabilità. Essenziali per la vita nella tenda erano e sono il focolare centrale, intorno a cui scaldarsi la sera, chiacchierare e far bollire l’acqua per il tè, e, sui tappeti che ricoprono il fondo sabbioso, cuscini, materassi e selle di cammello usate come schienali. Cosa desiderare di meglio in mezzo al deserto? Per le esigenze del viaggiatore contemporaneo (soprattutto: ricaricare lo smartphone tutto fare), un pannello fotovoltaico ed una batteria, per dar corrente alle tende una volta calato il sole!
In questa foto: il Mohammed Mutlak Camp nel magnifico Wadi Rum in Giordania.