Felice di condividere la registrazione dell’incontro al BiArch – Bari International Archifestival.
Il mio intervento, dal ventesimo minuto, parte da un articolo recente di Federico Rampini per raccontare perchè, per costruire città più giuste e inclusive, è oggi necessario cambiare paradigma, andare oltre il “vinca il migliore” (il più titolato, il più bravo, quello col curriculum migliore) per fare spazio a chi è stato per centinaia d’anni (e anche millenni) escluso dalla vita pubblica.
La mia risposta a Rampini dunque mette in fila alcuni passaggi fondamentali (figure e testi) di una faticosa avventura intellettuale, in corso da circa 100 anni, che ha avuto per protagonisti ricercatori/ricercatrici e ativisti/e di origine non europea che, mettendo in questione la storia della modernità come una storia fatta fondamentalmente di scoperte scientifiche e geografiche, di “conquiste” positive per l’umanità, hanno illuminato il percorso di violenza che ha portato l’Europa a dominare, nei primi del 900, l’85% del pianeta. Una dominazione realizzata a partire dalla costruzione culturale dell’Altro come inferiore, e attraverso l’uso dell’architettura e dell’urbanistica come strumenti di segregazione e imposizione di strutture di potere mirate a contenere gli “Altri”.
Per questo la cosa che conta di più adesso, e a cui dovremmo mirare come architetti e come cittadini, è smontare, disfare, e riparare secoli di violenza e in tutti i modi possibili “fare spazio” cioè dare la precedenza, costruire per esempio corsi preferenziali per spingere le ragazze nella vita pubblica, nei ruoli istituzionali…
