Una curatrice per il padiglione Italia? Tre proposte e altre idee per il Ministero della Cultura

MariaLuisa Palumbo con Francesca Perani ed Elena Fabrizi

Qui il link all’articolo su Artribune
Illustrazione di Francesca Perani

Questo testo approfitta della nomina di Lesley Lokko a curatrice della prossima Biennale di Architettura per portare avanti un dialogo che da RebelArchitette e MariaLuisa Palumbo si apre verso una molteplicità di voci di progettiste, ricercatrici, curatrici di piccoli e grandi eventi: architette in vario modo in prima linea nell’immaginazione e gestione del paesaggio, delle città, e degli interni che abitiamo.

Dopo 8 edizioni di curatela maschile del Padiglione Italia, da aggiungere alle 5 edizioni precedenti di curatori italiani della mostra generale, ci chiediamo come sia possibile non vedere l’esistenza di un problema: di una inaccettabile mancanza. Dove sono o che posto e che parte hanno le architette in Italia? La domanda di pari opportunità, ovvero di uguale spazio, spazio di rappresentazione, spazio per far sentire la propria voce, ma anche e soprattutto per dialogare con quella degli altri, è, nei confronti di una istituzione esemplare come il Padiglione Italia alla Biennale, più che mai urgente ed essenziale. Chiediamo pertanto al Ministero della Cultura di farsi promotore di una cultura di parità, piuttosto che esempio eclatante di disparità.

In questo senso, unendo la nostra voce a quella di chi in passato ha sottolineato il bisogno di individuare meccanismi altri per la scelta della figura curatoriale, ci sembra importante riaffermare che (1) un concorso aperto, non basato sul “passaparola”, ma su un bando pubblico, che renda visibili e condivisibili le proposte e le scelte, sarebbe un primo passo avanti. Riteniamo inoltre essenziale superare la logica dell’incarico individuale, permettendo e favorendo (2) curatele multiple e condivise, e collaborazioni tra figure professionali complementari. Infine, ricordando come la curatela di una mostra sia cosa diversa da un progetto di allestimento, chiediamo sia definitivamente superata la diatriba progettista/accademico: quello che serve, e che andrebbe messo a concorso, è (3) una proposta curatoriale, ovvero, una proposta di discorso, di interpretazione, di visione.

Con l’obiettivo dunque di promuovere pensiero femminile e di dar voce a figure al di fuori della logica del passaparola, abbiamo chiesto a Sandy Attia, Anna Barbara, Antonella Bruzzese, Cristiana Favretto, Bianca Felicori, Rossella Ferorelli, Paola Galuffo, Olivia Gori e Annalisa Metta, come immaginereste un Padiglione Italia capace di dialogare con Lesley Lokko? Come parlare alla Biennale di una architettura capace di costruire condizioni di uguaglianza, benessere e rifugio, di una architettura come pratica critica delle logiche estrattive e delle oppressioni di classe, genere e razza?

Ecco le loro risposte.

Sandy Attia (architetta e cofondatrice di MoDus Architects)
All’intersezione tra gli elementi naturali e l’ambiente costruito, ponti, argini, dighe, e rinforzi si sbriciolano e si piegano sotto il peso insostenibile del cambiamento climatico. La schiettezza delle opere infrastrutturali parla di fatti e, almeno sulla carta, i fatti stanno alla base della verità. Il loro destino racconta lo stato dell’arte tra il costruito (uomo) e il suolo, l’aria, l’acqua (natura) senza mezzi termini. Ma chi definisce quali fatti sono “veri”? Oggi, la verità è insidiata dal trucco e dall’incertezza, è sempre più sfuggente, se non la si accompagna con il mistero della bellezza. Io immagino il Padiglione Italia come un momento di verità, dove l’approccio dialogico e multi prospettico della Lokko possa trovare ristoro. Gli occhi saranno spalancati sull’amorevole cura della natura, non più matrigna, ma nostra unica salvezza.

Anna Barbara (architetta e professoressa associata in Interior e Spatial Design)
Credo che in questo momento l’architettura abbia più bisogno di progettare forme di tempo anziché forme di spazio. È la conciliazione dei tempi a sincronizzare i luoghi dell’inclusione; a consentire alle comunità di incontrarsi nella realtà e nella digitalità; a generare condivisione e circolarità; a diluire i confini e delegittimare i privilegi; a sanare lo strappo tra emozioni e percezioni; a riappropriarsi delle pieghe svuotate dei territori, per essere abitanti anziché consumatori di luoghi. Il Padiglione Italia dovrebbe affidare la curatela a progettiste, architette, docenti, ricercatrici, viaggiatrici e riconoscere le loro capacità strategiche, sensibili e attuali di progettare luoghi, di accogliere umanità, di interpretare mondi possibili.

Antonella Bruzzese (architetta e urbanista, professoressa associata di Urban Design)
Immagino un padiglione che non sia solo una vetrina di interventi realizzati ma un dispositivo per ragionare collettivamente di quelli ancora da fare. Che faccia discutere di una architettura proiettata al futuro ma profondamente radicata nei bisogni reali di città e territori italiani, soprattutto quelli fragili. Una architettura necessaria. Immagino un padiglione che racconti storie (poche ma significative) più che mostrare belle immagini. Un padiglione che rimetta al centro il ruolo sociale e politico dell’architettura e la sua potenziale capacità generativa. Un padiglione articolato intorno ad alcune linee di lavoro che oggi mi paiono fondamentali: recupero e manutenzione, gestione e usi, domanda e cultura del progetto, interdipendenze e prossimità.

Paola Galuffo (curatrice, cofondatrice della piattaforma creatrice Periferica)
Un elemento importante del panorama nazionale degli ultimi anni è la diffusione di nuovi “centri-periferici” della cultura, nuovi contesti che hanno definito un nuovo modo di produrre e distribuire cultura. Sono spesso spazi ibridi per la modalità in cui operano, all’incrocio tra almeno due ambiti di azione per le politiche delle nostre città: lo sviluppo locale e la rigenerazione urbana.
Mi piacerebbe che il Padiglione Italia mappasse e desse visibilità a questi luoghi simbolo del cambiamento locale, che connettono e creano valore. Si tratterebbe di porre attenzione ai processi attivati dal basso, per natura differenti, che hanno però in comune la dimensione della co-creazione.
Questo approccio racconta come la crescita di potenza di una comunità (la sua capacità di progettare, recuperare, dialogare) generi effetti benefici sul territorio. Cioè, cambiamenti a misura di abitante. 

Olivia Gori (architetta, cofondatrice dello dello studio di architettura ECÒL)
Immagino un padiglione capace di superare l’impostazione culturale alla quale siamo inconsciamente legati, alla quale siamo stati educati, ovvero capace di superare la storia spesso raccontata dalla parte degli uomini, bianchi, occidentali. Un’altra visione è possibile: speculare, complementare, altrettanto reale. Un racconto che parta da altri presupposti, visto da nuove prospettive, capace di riscrivere una storia passata diversa e una possibilità futura stimolante. Un padiglione dove le dinamiche della disciplina sono presentate attraverso uno sguardo poliedrico, complesso, profondo e sensibile. Un padiglione, per esempio, per una volta tutto dedicato a studiare, raccontare e immaginare una nuova centralità per lo spazio pubblico.

Cristiana Favretto (architetta, cofondatrice di PNAT think tank di designer e scienziati vegetali)
Il mondo in cui viviamo è scosso da grandi mutamenti: ambientali, sociali ed economici. Mutamenti rapidi e strettamente connessi tra di loro. Possiamo affrontare una tale complessità, solo con una progettualità multidisciplinare che allarga gli orizzonti delle soluzioni. La natura lo insegna grazie a meccanismi di diversificazione e collaborazione che si allontanano dai modelli competitivi a cui abbiamo sempre fatto riferimento. Il Padiglione Italia ha l’occasione di creare un dialogo speciale con la curatrice Lesley Lokko basato proprio sull’inclusività, il cambiamento e la reciprocità. Un’occasione importante per mettere in campo nuove formazioni, da cui potrà germinare una rinnovata cultura progettuale.

Bianca Felicori (architetta, ricercatrice e autrice)
Ci siamo abituati ad associare la nostra formazione, e di conseguenza la nostra carriera lavorativa, con il concetto di “sofferenza” e di “fatica”. Il raggiungimento dei propri obiettivi personali e professionali corrisponde ad un curva esponenziale di sforzi. Pensiamo un attimo alla storia dell’architettura: quanto figure femminili conoscete che vengono citate nei manuali come esponenti di un certo movimento? Poche o forse nessuna. Lasciate in un cono d’ombra per secoli, ridotte a mere collaborazioni oscurate dalle figure maschili con cui lavoravano, quelle che possiamo definire le architette del tempo non riuscivano neanche a ritagliarsi un capitolo di un libro. Oggi la situazione sembra migliorare, ma non è abbastanza (sarà mai abbastanza?). Dobbiamo toglierci di dosso il peso di questa sofferenza e guarire da tutte quelle patologie imposte dal sistema per essere prima di tutto delle persone libere. La nomina di Lesley Lokko deve essere solo l’inizio di un processo di ricerca di parità di genere. 

Rossella Ferorelli (architetta, cofondatrice dello dello studio di architettura Small)
Due cose mancano al discorso architettonico globale: ironia (particolarmente, autoironia) e coraggio di esplorazione dell’oscuro. Se queste siano categorie tipiche del femminile o meno, non è in alcun modo rilevante. È rilevante invece ammettere che la media narrazione nel nostro settore consta di un dibattito che, indipendentemente dal fatto che si presenti come disimpegnato, purovisibilista, edonista ed estetizzante, oppure come pensoso, geo-bio-politicamente impegnato o persino militante, è in realtà, nella stessa – sbalorditiva – misura, sedativo e orientato quasi unicamente a produrre forme di soddisfazione onanistica in chi produce o fruisce dei contenuti proposti come “critici”. C’è un’architettura per tutto quello che è altro dalla norma? Possiamo cercare seduzione al di là della sedazione? Non abbiamo, forse, bisogno di uno xeno-urbanesimo?

Annalisa Metta (architetta e professoressa associata di Architettura del Paesaggio)
Decido di restare sul medesimo piano politico della vostra sollecitazione, sottolineandone un passaggio cruciale: che la designazione della responsabilità scientifica del prossimo Padiglione Italia sia esito di un concorso aperto e pubblico, palesando, almeno concluse le valutazioni, le proposte pervenute. Ci si affrancherà così da consuetudini discriminanti che riguardano sia questioni di genere sia di accessibilità, rendendo possibile la candidatura anche a chi, per scelta o proprio malgrado, non usi frequentare i salotti buoni dell’architettura italiana e occupi posizioni mediaticamente marginali quanto culturalmente avanzate. Aggiungo l’auspicio che si pongano questioni rilevanti, che si dimostri la necessità dell’architettura ben fatta e anche la sua ‘normalità’, come parte inderogabile della vita di tutti, ogni giorno. Perché l’indisponibilità dell’architettura è essa stessa discriminante.

A queste voci ci piacerebbe aggiungerne molte altre. Perché sono tante oggi le architette italiane con curricula più che eccellenti, di tutte le età e provenienze, impegnate in Italia e in giro per il mondo. I loro lavori, le loro voci, e i loro volti però sono ancora estremamente sotto rappresentati nei media, nei panel, nelle mostre, nelle giurie, nei ruoli guida di università ed istituzioni. Ecco perché è importante che la Biennale dia un segnale: occorre cambiare le regole del gioco per invitare più giocatori a partecipare, creando meccanismi per sostenere la diversità, l’inclusività, le pari opportunità. Millenni di esclusione, di cancellazione, di distorsione, non si superano senza una volontà precisa di recuperare, di cambiare le regole e le abitudini che hanno permesso e legittimato l’esclusione.

About paesaggisensibili

Architect and senior fellow of the McLuhan Program in Culture and Technology of Toronto University, I'm a member of the board of directors of the Italian National Institute of Architecture (IN/ARCH) in Rome, where since 2003 I am in charge of the Institute Master Programs. My studies are rooted in the fields of architecture and philosophy of science with a special interest in biology and anthropology. Key words for my research are: Man, Space, Nature, Technique, Webness, Ecology, Relations, Interactions, Resources, Energy, Landscape, Footprint, Past and Future. My goal is to build critical understanding of the present to suggest useful strategies to build the future.

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