Pubblicato su Domusweb in italiano e inglese
Fortuna volle che durante un sopralluogo per il progetto di restauro paesaggistico del paese, i progettisti incaricati (lo studio 2TR) si affacciassero proprio su quel campo, dove un anziano contadino osservava i risultati della sua giornata di lavoro: aveva finito di preparare il terreno dove l’indomani, come ogni anno in quel periodo, avrebbe piantato le cipolle. Interrogato sul destino del suo orto il contadino, che si chiamava Fedro, rispose con amarezza che i suoi figli non se ne sarebbero curati e che dunque sarebbe stato abbandonato o trasformato. Eppure, così non fu. Infatti grazie alla sensibilità dei progettisti ed alle scelte del sindaco e del suo staff quel campo è stato inserito nel progetto più ampio e già avviato di riqualificazione ambientale del paese, un progetto che ha permesso a partire dal 2005 di recuperare, dopo anni di abbandono e dimenticanza, tre edifici monumentali, un mulino, una chiesa, gli orti di un convento, un acquedotto ottocentesco ed il letto di un fosso alluvionale con le antiche opere idrauliche e i bacini di presa.
Come raccontano i progettisti: In questo contesto il progetto intitolato “Gli Orti di Fedro – Biodiversità per un’agricoltura sostenibile”, ha voluto restituire gli appezzamenti peri-urbani alla loro tradizionale vocazione agricola e renderli uno strumento per lo sviluppo locale partecipativo e sostenibile. Intensi lavori nel corso del 2008 hanno liberato l’area dai rovi che avevano preso il sopravvento, riscoperto terrazzamenti e riportato alla luce canalette storiche per l’acqua.
Linee guida per la gestione partecipativa dell’area sono state proposte al Comune, ispirate a temi di fondo tra i quali la tutela della biodiversità, la valorizzazione delle risorse genetiche agricole regionali, la produzione di cibo di qualità su scala locale e la diffusione dei principi dell’agricoltura biologica. Gli orti di Fedro diventano così un’area di conservazione in situ delle risorse genetiche vegetali del territorio, con il coinvolgimento attivo della comunità locale.
Gli ‘eredi di Fedro’, individuati attraverso un bando predisposto dal Comune e assegnatari ciascuno di un settore del campo suddiviso in aree di 900 mq, dovranno dunque garantire la riproduzione e la sopravvivenza nel tempo delle risorse genetiche che coltivano, divenendo così custodi dell’agrobiodiversità toscana. A questo fine è stato predisposto un locale per le operazioni di raccolta, pulizia e riproduzione delle sementi da un anno al successivo. Ancora, secondo quanto richiesto dal bando, gli agricoltori si impegneranno a mantenere siepi ed aree di vegetazione spontanea, ad evitare l’uso di fertilizzanti ed antiparassitari di sintesi ed a curare rotazioni e consociazioni, massimizzando la varietà di specie selvatiche e coltivate per garantire al sistema stabilità e durata nel tempo. Ognuno avrà a disposizione un box in legno come deposito attrezzi e delle prese d’acqua.
Se nel corso del 900 più volte per esempio lo stato americano ha appoggiato e finanziato la realizzazione di community gardens per sostenere l’autonomia alimentare delle fasce sociali più deboli1, in Gran Bretagna, Svezia, Germania e Olanda, con nomi e politiche diverse, gli orti comunitari sono oggi una realtà consolidata e importante, non soltanto naturalmente dal punto di vista del rifornimento alimentare ma come una possibile forma di verde urbano, che preveda la gestione attiva da parte dei cittadini, nonché funzioni didattiche e dimostrative di nuove e antiche pratiche ecologiche.
È così che a New York, per esempio, Green Thumb, un’associazione patrocinata dal Dipartimento dei Parchi, trasforma zone degradate in orti urbani che riforniscono i mercati biologici cittadini. A Parigi, i “jardins partagés” (eredità dei precedenti “giardini operai”) sono riuniti nella rete municipale del programma “Charte Main Verte” che prevede una convenzione base tra cittadini e amministrazione che impegna il comune a fornire l’acqua e il terriccio vegetale, l’associazione ad aprire al pubblico il giardino per almeno due mezze giornate alla settimana. Ancora, a Londra il programma “Capital growth” invita tutti i cittadini a partecipare alla riqualificazione degli spazi di risulta della città, in vista delle Olimpiadi del 2012, attraverso la realizzazione 2012 progetti comunitari di coltivazione di frutta e ortaggi da destinare al consumo locale. Il programma offre assistenza tecnica, supporto economico e formazione alle associazioni interessate a realizzare e gestire un orto collettivo.
Dalla campagna toscana al vorticoso skyline di Londra, questi esempi ci raccontano una utopia realizzabile: quella di un verde produttivo che torna a riconquistare spazio e valore nel paesaggio urbano, dandogli insieme nuova forma ed energia.
1Il
primo programma organizzato finalizzato a trasformare terreni
abban donati in orti comunitari, per rispondere ad una crisi
economica, è il Potato
Patches del 1894-1917, sviluppato dal sindaco di Detroit e poi imitato in
altre grandi città come Chiacago, New York e Philadelphia; la crisi
della Prima Guerra Mondiale porta al programma dei Liberty
Gardens che tra il 1917-1920 incoraggia la realizzazione di orti patriottici
per produrre frutta, verdura e conserve; tra il 1930-1939 i Relief
Gardens vengono istituiti come risposta alla Grande Depressione; durante la
Seconda Guerra Mondiale tra il 1941-1945 i Vicotry
Gardens invitano i cittadini americani a coltivare “Food for Freedom”;
infine, a partire dagli anni ’70 l’American
Community Garden Association promuove la coltivazione e la cura di aree verdi condivise.