Note sull’oro blu del XXI secolo

Questo testo è stato scritto per il libro I paesaggi dell’Alcantara a cura di Sebastiano D’Urso, Maggioli 2014. Lo pubblico oggi sul blog per la sua triste attualità vista l’emergenza idrica in Italia e a Roma.

Parlare dell’Alcantara vuol dire parlare di acqua. La cosa può sembrare scontata ma, nel contesto dell’architettura contemporanea, non lo è. Infatti nonostante il ruolo fondamentale giocato da questo elemento tutti noi, cittadini e architetti, spesso sappiamo davvero troppo poco dell’acqua. Sappiamo che non c’è abitare senza un fluire costante di acque chiare e nere, ovvero che non c’è vita senza flussi di acque che entrano ed escono dai nostri edifici, che attraversano i nostri territori, irrigano le nostre colture, alimentano i nostri processi produttivi e così via. Eppure questo enorme e costante flusso di acque, nel corso del secolo breve è diventato un bene scontato: l’acqua (come la luce e il gas) arriva dall’acquedotto (dunque da una rete che è esterna ed altra rispetto al progetto), scorre sotto i nostri occhi (trasformandosi da acqua buona da bere in acqua sporca da buttare via) e va in fogna (di nuovo una rete altra, che non riguarda il progetto architettonico e l’architetto).

00_Gole Gole dell’Alcantara

Inutile ricordare come secoli di cultura dell’abitare in condizioni di scarsità (d’acqua e di energia) avessero insegnato strategie sopraffine per raccogliere e far tesoro dell’acqua che piove dal cielo (così come per riscaldare o raffrescare senza aiuti altri da quelli stessi del sole, del suolo, della vegetazione e delle tecniche e materiali costruttivi). Anche nel caso dell’acqua infatti, l’illusione dell’abbondanza permessa dalle nuove tecnologie energetiche (la facilità della sua estrazione e distribuzione da profondità e su distanze sempre maggiori), ha in pochi decenni spazzato via abitudini e sapienze costruttive radicate.

Ma perché dunque, nell’età delle trivelle, del fracking e delle elettropompe, tornare a preoccuparsi dell’acqua? La ragione per cui oggi ricostruire una consapevolezza sulla natura preziosa di questo elemento, è la scarsità cui abbiamo ridotto una risorsa che di per sé non si consuma, ma piuttosto circola continuamente tra le cose e i regni della vita (il suolo, gli organismi, l’aria), attraverso i suoi passaggi di stato (solido, liquido, gassoso) e attraverso la catena agro-alimentare (che vede gli esseri viventi continuamente nutrirsi d’acqua, bevendo ma anche e soprattutto mangiando alimenti cresciuti o prodotti attraverso flussi d’acqua), il tutto all’interno del grande ciclo che tiene continuamente in movimento l’acqua tra cielo e terra grazie alle due forze opposte del sole (che tende a trasformare l’acqua in gas e farla evaporare) e della gravità (che tende a far condensare l’acqua e farla ricadere sulla terra).

La scarsità dell’acqua dunque non è legata in sé ad una diminuzione della risorsa, poiché in un sistema chiuso (dal punto di vista degli scambi di materia) come la Terra, l’acqua è la stessa da 300 milioni di anni. Ciò che è cambiato e sta cambiando, a causa delle pressioni umane, è la quantità d’acqua buona per la vita e, in modo altrettanto preoccupante, lo stesso ciclo idrologico, ovvero il rapporto tra i vari stati assunti dall’acqua.

Fattori quali il riscaldamento globale (con l’aumento del vapore acqueo contenuto nell’atmosfera e l’alterazione del regime delle piogge), la trasformazione dei territori distrutti da deforestazioni e cementificazioni (con suoli su cui l’acqua tende a scorrere in superficie piuttosto che ricaricare le falde) e il vertiginoso incremento del tasso di prelievo (oltre la capacità di rinnovo locale) dovuto all’aumento della popolazione (e al cambiamento dei suoi stili di vita), stanno provocando tanto un abbassamento delle acque di profondità quanto una riduzione delle acque di superficie. Crescenti periodi di siccità interessano la maggior parte dei fiumi del mondo (un’alta percentuale dei quali non arriva più al mare), fenomeni di riduzione o di sparizione (come nel caso del mare di Aral in Asia centrale) interessano i grandi laghi del mondo. Parallelamente, una massiccia azione di inquinamento e contaminazione ha reso inutilizzabili (per usi umani e per gli ecosistemi) il 40 per cento dell’acqua da falda degli Stati Uniti, così come la quasi totalità dei corsi d’acqua di India e Cina.

Per capire che non si tratta di problemi e fenomeni lontani dall’Italia, dalla Sicilia e dai luoghi dell’Alcantara, basta cercare qualche informazione sull’acquedotto che rifornisce Catania, il Sidra. Nel Sidra fino a qualche decennio fa l’acqua scorreva libera in gallerie naturali a 90 metri di profondità dal piano di campagna. L’abbassamento della falda ha reso però necessaria la realizzazione di alcune trivellazioni, per prelevare l’acqua a 180 metri di profondità, e l’uso di elettropompe per immettere l’acqua nelle condotte. Se sulla qualità dell’acqua a questa profondità si può star tranquilli, è inevitabile chiedersi tra quanti anni si dovrà trivellare ancora? e quale profondità si dovrà giungere per continuare ad assicurarsi l’acqua?

Capito il quadro generale (l’emergenza idrica) a cittadini, amministratori e progettisti occorre capire cosa fare. Per fortuna, insieme alla coscienza dei danni prodotti dai nostri comportamenti, l’emergere dei problemi ambientali ha generato e sta generando nuovi strumenti, concettuali e operativi. Dal punto di vista dell’acqua per esempio una prima nozione importante è quella di “acqua virtuale” ovvero di acqua consumata per produrre qualsiasi cibo, bene o servizio. Grazie all’applicazione di questo concetto (sviluppato da Tony Allen presso il King’s College di Londra verso la metà degli anni Novanta) è divenuto infatti evidente come l’acqua che utilizziamo per usi domestici è soltanto una piccola parte dei nostri consumi idrici (circa 150 m3 annui pro capite): il resto (in Italia oltre 2000 m3 annui pro capite) la “mangiamo” sotto forma di cibo. Ogni coltura ha infatti un proprio fabbisogno d’acqua, necessario per l’evapotraspirazione durante la sua crescita. E nonostante la maggior parte della produzione agroalimentare nel mondo sia ancora di tipo tradizionale (cioè non irrigua), oltre il 70% dei consumi idrici mondiali (circa l’80% in Italia ed oltre il 90% in paesi molto aridi come il Nord Africa) è legato all’agricoltura. Dunque: “Il mondo ha sete perché ha fame”, come ha ben chiarito lo slogan coniato dalla FAO per la giornata mondiale dell’acqua del 2012.

Eppure, a ben guardare, considerando la destinazione delle produzioni agricole, potremmo dire che il mondo ha sete perché “ha molta fame di carne”: quasi il 40% della produzione mondiale di cereali è infatti utilizzata per l’alimentazione animale. Non solo, ma a differenza di altre forme di agricoltura, la produzione di mangimi concentrati destinati agli allevamenti, è realizzata da forme di agricoltura industriale, con colture irrigate e fertilizzate. Tenendo conto che la produzione di carne è raddoppiata al livello mondiale tra il 1980 e 2004 e che la FAO prevede un ulteriore raddoppio per il 2050, la pressione sulla risorsa idrica causata dall’allevamento dovrebbe preoccupare parecchio politici e cittadini.

A precisare il concetto di acqua virtuale è l’elaborazione della “impronta idrica”, un indicatore (sviluppato da Arjen Hoekstra presso l’Università di Twente nel 2003) del consumo di acqua di un prodotto (o di un soggetto, individuo, azienda o nazione) misurato come la somma dei volumi di acqua utilizzati nella fase di produzione e necessari per annullare la contaminazione legata alla produzione. Distinguendo al proprio interno tre diversi diversi tipi di acque, l’acqua “blu” di superficie e sottosuolo (fiumi, laghi e falde), l’acqua “verde” intrinseca nel sistema pianta-pioggia-suolo (acqua piovana che non arriva a diventare blu poiché viene assorbita ed evaporata dal suolo e dalle piante) e l’acqua “grigia” (che esprime il volume immaginario di acqua necessaria per diluire gli agenti inquinanti), l’impronta permette di capire come l’impatto di una produzione non dipenda tanto dall’entità dei volumi d’acqua intrinsechi alla produzione ma dal tipo di acqua utilizzata e dal contesto del suo prelievo. Così per esempio, considerando le diverse percentuali d’acqua contenute nella produzione irrigua (da acque di falde sovrasfruttate) di grano duro in Sicilia, e nella produzione non irrigua di riso in Piemonte, otterremo un’alta impronta idrica della produzione di grano ed un impatto pari a zero per quella di riso. Fermo restando che l’impronta non è che un indicatore ecologico al quale vanno accostati molti altri ragionamenti e considerazioni, è evidente come lo studio delle impronte idriche delle varie colture e dei possibili usi del suolo potrebbe dare un contributo nuovo alla progettazione e gestione del paesaggio.

Un altro concetto nonché strumento operativo di grande importanza per una gestione sostenibile delle acqua alla scala architettonica e urbana è quello di “bilancio idrico”, ovvero l’idea che non solo è possibile contabilizzare i flussi di acqua in entrata ed uscita dalle nostre case e città ma che è anche possibile cercare di ricondurre in una sorta di circolo virtuoso (piuttosto che di flusso lineare dall’acquedotto alla fogna) bisogni e flussi: usi e qualità delle acque. L’obiettivo primario è quello di ridurre tanto la richiesta d’acqua (potabile) all’acquedotto quanto la pressione sul sistema delle fogne, facendo tesoro dell’acqua che piove dal cielo (e della quale i nostri tetti, terrazze, strade e piazze, sono naturali superfici di raccolta) e distinguono le reti delle acque potabili (da mandare a lavabi, docce e lavandini) e delle acque da mandare negli scarichi dei wc, nonché le reti di scarico, così da trattare diversamente acqua con diverso carico di inquinanti e con diverse possibilità di depurazione e riutilizzo.

Concludendo, e rimandando ad altri testi per i necessari approfondimenti su quanto qui appena accennato, se vogliamo che il nostro operare oggi abbia un senso, se vogliamo cioè essere architetti capaci di rispondere alle domande profonde del nostro tempo, ciò che dobbiamo fare è imparare a progettare architetture e città che abbiano un altro impatto, un impatto positivo ovvero ricostruttivo degli equilibri dell’ecosistema. In questo senso luoghi come la valle dell’Alcantara sono delle occasioni straordinarie per pensare ad un riequilibrio dei territori: il percorso del fiume potrebbe diventare infatti una infrastruttura ecologica di luoghi d’eccellenza, architetture non solo a impatto zero ma ad impatto positivo, in grado di produrre più energia (locale e rinnovabile) e di ri-generare più acqua di quella che consumano, di produrre cibo locale a basso impatto idrico ed alto valore ambientale. Architetture e città a sostegno della vita.

Per incamminarsi su questa strada occorre dotarsi di nuovi strumenti critici ed operativi: concetti come l’acqua virtuale, la famiglia delle impronte (ecologica, idrica e del carbonio), ed il bilancio idrico, non sono che l’abc di un nuovo rapporto con il paesaggio, con i regni e gli elementi della vita.


Letture di approfondimento:

L’acqua che mangiamo. Cos’è l’acqua virtuale e come la consumiamo, a cura di Marta Antonelli e Francesca Greco, Edizioni Ambiente 2013;
La gestione dell’acqua, Giulio Conte, sta in “Architettura Produttiva. Principi di progettazione ecologica” a cura di MariaLuisa Palumbo, Maggioli Editore 2012;
Calendario della fine del mondo. Date, previsioni e analisi sull’esaurimento delle risorse del pianeta, a cura di Anna Pacilli, Anna Pizzo e Pierluigi Sullo, edizioni IntraMoenia 2011.

 

About paesaggisensibili

Architect and senior fellow of the McLuhan Program in Culture and Technology of Toronto University, I'm a member of the board of directors of the Italian National Institute of Architecture (IN/ARCH) in Rome, where since 2003 I am in charge of the Institute Master Programs. My studies are rooted in the fields of architecture and philosophy of science with a special interest in biology and anthropology. Key words for my research are: Man, Space, Nature, Technique, Webness, Ecology, Relations, Interactions, Resources, Energy, Landscape, Footprint, Past and Future. My goal is to build critical understanding of the present to suggest useful strategies to build the future.

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