Pubblicato su Arch’it
Insieme a Piero Pierucci e Oscar Gemma de Julio, Mauro Annunziato fonda nel 1994 Plancton Art Studio. Progressivamente la ricerca artistica del gruppo si focalizza su installazioni audio visive dove le persone sono invitate ad interagire con esseri artificiali dotati di un comportamento autonomo. Le loro opere sono state selezionate per i principali festival su arte digitale e tecnologie emergenti (Siggraph, Imagina, Alife, Virtualità, Generative Art, Opera Totale, VIDA). L’attività artistica di Plancton si fonde con una intensa attività scientifica. In particolare, Mauro Annunziato dirige un laboratorio di ricerca sulle applicazioni della vita artificiale presso l’ENEA (C.R.E. Casaccia, Roma). Dal 2000 è stato inoltre selezionato dalla NASA tra i 60 scientist-artist più rappresentativi per il progetto MARS per una comunità umana su marte.
MLP: In uno dei tuoi scritti (“Emergenza e biodiversità della forma: creazione e struttura per una nuova estetica”), racconti come nel ’94 passando da alcuni esperimenti in cui producevi immagini di fratture ottenute col riscaldamento di strati di cellulosa su cui avevi depositato inchiostro di china e stampate con procedimento fotografico, alla simulazione digitale di questo processo attraverso la scrittura di un programma in grado di simulare la formazione di fratture, in questo passaggio al digitale hai scoperto la possibilità di generare una forma animata o meglio la possibilità più che di disegnare una forma, di progettarne le ‘condizioni iniziali’. <<Giocando con i parametri (navigando nell’iperspazio parametrico) gradualmente mi accorsi che le fratture cominciavano ad animarsi assomigliando più a filamenti e forme animali. Riguardando sotto la nuova luce il programma, mi accorsi che i parametri associati ai filamenti erano una sorta di codice genetico e l’insieme delle tracce disegnava talvolta forme naturali o antropomorfe, altre volte forme artificiali…>>. Mi piacerebbe che tu provassi ad approfondire due aspetti di questo discorso: il primo è quello della differenza qualitativa tra uno spazio di rappresentazione analogica -tracciare una linea con una matita su un foglio- e l’iperspazio parametrico della rappresentazione digitale; la seconda questione è quella del grado di vitalità, ossia della differenza qualitativa tra forme più e meno vitali e naturali.
MA: Credo che la differenza focale tra l’azione analogica e l’azione digitale sia inerente alla necessità, nel secondo caso, di creare un modello formale dell’azione e di convertirlo in un programma software a differenza del caso analogico, come – tracciare una linea su un foglio -, in cui il modello rimane nella nostra testa. Purtroppo (o per fortuna) il modello software è sempre semplificato e diverso da quello mentale e questo richiede una posizione ideologica da parte dell’artista o designer che si ostinasse a percorrere la via digitale: “migliorare il modello software e piegarlo alla nostra idea mentale poiché il computer non è altro che uno strumento” oppure “cavalcare la tigre” ossia “scegliere di considerare la dimensione digitale ed il computer come parte della nostra testa ed esplorare le strade laterali che il computer, le rappresentazioni e gli errori digitali offrono”. In una parola esplorare l’iperspazio della rappresentazione che abbiamo costruito alla ricerca di qualcosa che possiamo rielaborare di nuovo e trasformarlo in una nuova creazione.
Inserire nella rappresentazione digitale un grado divitalità è qualcosa di fondamentalmente diverso e richiede un posizionamento ancora diverso. Imitare la vita nella forma è pura rappresentazione. Imitarla nella dinamica e nel processo che la genera, è qualcosa di più. Qualche provocatore culturale (come gli hard alifers e la letteratura cyborg) giunge fino al punto di considerare vita stessa le simulazioni digitali. In ogni caso chiunque osservi una animazione, la interpreta come una semplice sequenza di stati predefiniti, cosa che non ha nulla a che fare con la vita ma soltanto con la sua rappresentazione. Lo stesso vale per una struttura statica organica in cui la rappresentazione della vita è congelata nell’attimo. Viceversa ciò che ci dà l’emozione della vita è quel grado di autonomia, molteplicità, apertura e imprevedibilità che non può esserci in una animazione per quanto sofisticata possa essere. Ciò significa concedere alla nostra creazione una autonomia intrinseca dove non tutte le reazioni sono programmate ma soprattutto possano configurarsi imprevedibili auto-organizzazioni dei componenti del processo che abbiamo messo in atto. In una parola dare la possibilità all’opera di uscire dalla rappresentazione e diventare essa stessa creativa.
MLP: In esperimenti successivi alle Fratture digitali, in immagini come Contamination e The Garden, hai ulteriormente verificato la possibilità di affidare ad un programma generativo il compito di esplorare e colonizzare un spazio. A partire da un singolo filamento iniziale, con una tendenza a crescere secondo curve ampie e regolari, e capace di generare filamenti figli con mutazioni genetiche del proprio carattere, si è sviluppata una società di filamenti composta da piccole famiglie omogenee con caratteristiche differenziate: diverse modalità di curvatura, articolazione, fertilità. Procedendo dall’estremità dell’immagine in cui era stato posto il primo filamento verso la parte centrale, la società di filamenti ha subito uno spostamento da strutture ordinate verso strutture più complesse e caotiche, sino ad una zona di transizione…
Che cosa succede sul bordo del caos? Perché è proprio lì che si trova la massima potenzialità di morfogenesi?
MA: Nei sistemi caotici la biforcazione è una sorta di scelta che il sistema si trova a fare in un determinato momento della sua dinamica. In quel punto, il sistema sceglie se ripercorrere un percorso già esplorato o prendere una deviazione che lo porterà verso altri stati fino a quel momento non esplorati. Questa scelta avviene sulla base di differenze estremamente piccole ed impredicibili (le famose condizioni iniziali) come una pallina in equilibrio su un monte che dovesse decidere se cadere da una parte o dall’altra.
Il bordo del caos è quel momento di transizione in cui il numero di queste biforcazioni esplode ed il sistema diventa, in modo apparentemente inspiegabile, fortemente decisionista e creativo. Questo è vero non soltanto per i sistemi chimico-fisici come mostrò il premio nobel Ilya Prigogine ma tanto più per gli organismi e l’evoluzione che attraversa cicli di esplosione e contrazione della biodiversità.
Le immagini della collezione “Artificial Societies” sono costruite appunto sulla base di principi evoluzionistici in cui caos e creazione genetica si fondono in modo intimo. In queste immagini la potenzialità creativa si esprime in particolar modo nelle zone di transizione tra ordine e caos dove emergono biforcazioni genetiche e nuovi caratteri che danno luogo a nuove forme. E’ in queste zone che si formano comportamenti complessi che riescono ad interagire, sostenersi e diventare struttura; qualcosa che spesso ricorda gli organismi e talvolta forme antropomorfe.
MLP: Il passaggio dalle immagini alle installazioni porta con sé due conseguenze fondamentali: l’entrata in gioco dello spazio fisico e delle persone. E tanto in Relazioni Emergenti quanto nel work in progress E-sparks ciò che avviene è che lo spazio reale in cui si muovono, agiscono ed emettono suoni o parole le persone, diventa un’area sensibile, di ascolto, un’area di intermediazione e di scambio tra le persone e le creature artificiali che popolano lo spazio digitale. Imparare a pensare e progettare questo spazio sistemico di interazioni è probabilmente una delle sfide più interessanti che l’architettura, insieme all’arte e alla scienza, oggi possa affrontare. Uno dei nodi di questa sfida sembra essere quello del superamento del paradigma classico dell’interazione uomo-macchina, a favore di quello che da più parti viene interpretato come un nuovo salto evolutivo in una nuova dimensione ibrida…
MA: Il passaggio da un ambiente puramente virtuale ad un ambiente ibrido reale-virtuale è stato ed è realmente una sfida difficile ed affascinante. La difficoltà è insita nella necessità di articolare diversamente il concetto di interazione: non più uomo- macchina ma da essere reale ad essere digitale e viceversa. L’altro aspetto fondamentale in queste opere è stato l’inserimento della dimensione sociale della interazione: non più da singolo a singolo ma da molteplice a molteplice. E’ per questo che abbiamo cercato di lavorare sul concetto di ecosistema ibrido reale-virtuale dove ogni azione e/o interazione lascia un segno nel sistema che potrebbe essere nella mente o nella cultura degli esseri digitali che lo abitano, ma anche nello sviluppo di una nuova capacità interattiva del visitatore umano. Le difficoltà sono molte ed insidiose: occorre evitare di determinare univocamente il futuro dell’ambiente lasciandone aperta l’evoluzione e la possibilità di una crescita progressiva della complessità in cui l’uomo possa giocare un ruolo determinante ma non totalitario, attraverso l’interazione.
Credo che in questo approccio siamo realmente all’inizio. Il campo dell’architettura potrebbe essere una interessante contestualizzazione di tali ricerche espressive. Entrare in questa dimensione significa introdurre concetti come evolvibilità dell’ambiente reale-virtuale o capacità di direzionare l’evoluzione dell’ecosistema verso il soddisfacimento di bisogni psico-biologici di chi ne fruisce. Difficile anticipare quali potranno essere gli sviluppi di questo affascinante fronte di ricerca.
MLP: Al laboratorio di ricerca che dirigi all’ENEA, state per affrontare il primo progetto di un sistema di controllo basato su vita artificiale per edifici reali. Su che tipo di obbiettivi lavorerete e, in prospettiva, a cosa potrebbe portare questo lavoro?
MA: Negli ultimi anni abbiamo sviluppato una nuova metodologia per il controllo ed ottimizzazione in linea di sistemi in evoluzione. Attualmente stiamo applicando tale metodologia al controllo di processi energetici ecosostenibili. Nel caso degli edifici stiamo conducendo delle esperienze per la ottimizzazione in linea degli aspetti energetici-ambientali di edifici (consumo energetico, climatizzazione, illuminazione, qualità dell’aria) o di insiemi di edifici nel contesto di un distretto energetico (utilizzo di fonti energetiche diverse incluse le energie rinnovabili, impatto ambientale, recupero di situazioni di criticità). Si tratta di strategie del tutto innovative che si basano su un ambiente di vita artificiale che vive in parallelo all’edificio e cerca di adattarne la gestione in relazione ai cambiamenti delle condizioni ambientali, di esigenza degli utenti e delle disponibilità energetiche. Attualmente stiamo concludendo alcuni studi basati su simulatori software (di edificio e di distretto) e stiamo avviando una fase applicativa che ci porterà alla realizzazione di alcuni prototipi reali, di cui uno in Italia a Milano nel contesto del progetto europeo Brita ed uno presso l’Università di Pechino nel contesto di accordi di collaborazione Italia-Cina (Min. Ambiente italiano e della Ricerca Cinese).
Tali progetti mirano alla realizzazione di obiettivi prototipali concreti a breve scadenza (due, tre anni) e quindi attualmente l’interazione tra gli agenti artificiali che operano la gestione degli edifici e gli agenti umani che vi abitano è indiretta ed avviene sostanzialmente attraverso un sistema di votazione e/o semplici interruttori. Ma il passo verso interfacce naturali tra esseri umani ed esseri artificiali responsabili del controllo energetico come del comfort, potrebbe essere molto breve una volta consolidata e verificata in campo la strategia di controllo e di evoluzione. A quel punto la metafora dell’ecosistema ibrido reale-artificiale che attualmente funge da concetto catalizzatore delle installazioni interattive artistiche di Plancton, potrebbe essere molto più vicino all’applicazione di quanto ora si possa immagine.