Perdere Terreno

Un nuovo articolo per EAST Global Geopolitics…

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Probabilmente non è la prima tra le risorse scarse del pianeta che vi potrà venire in mente, eppure il suolo, come terra fertile, permeabile e libera da costruzioni, è una delle risorse primarie non riproducibili la cui riduzione preoccupa ogni giorno di più paesi piccoli (ma densamente abitati) come l’Italia e paesi vasti (ma con suoli sempre più sterili) come l’India, la Cina e gli Stati Uniti.

Le cifre parlano chiaro. Dalla metà degli anni Cinquanta la superficie totale delle aree urbane in Europa è aumentata del 78%, una crescita molto più rapida di quella della popolazione che è stata di appena il 33%. I dati dell’European Environmental Agency (EEA) ci dicono che la superficie impermeabilizzata (ricoperta da cemento, asfalto o altri materiali da costruzione) rappresenta oggi il 4% del territorio europeo, una percentuale apparentemente bassa se non fosse che, a causa della dispersione (sprawl) del costruito e della diffusione delle infrastrutture, più di un quarto del territorio europeo va ormai considerato come territorio urbanizzato.

É così che se Londra ha perso in soli 10 anni il 12% dei suoi giardini, sostituiti da circa 2.600 ettari di manto stradale, il Reno, uno dei maggiori fiumi d’Europa, ha perso ben 4/5 delle sue pianure alluvionali. In Italia negli ultimi quindici anni sono spariti, sotto un fiume di permessi a costruire, più di tre milioni di ettari di superfici libere da costruzioni: un’area più grande del Lazio e dell’Abruzzo messi insieme. Dal 1950 ad oggi l’Italia ha perso il 40% del territorio libero del paese.

In gioco non è soltanto il valore ecologico e storico-culturale del paesaggio, ma anche e innanzitutto la nostra indipendenza alimentare, poiché i 3/4 del consumo di suolo avvengono su territori agricoli trasformando aree coltivate in superfici urbane: case, strade, parcheggi, centri sportivi e commerciali. Tra il 1990 e il 2006 gli stati europei hanno perso così una capacità di produzione agricola complessiva pari a 6 milioni di tonnellate di frumento: circa 1/6 del raccolto annuale della Francia, il maggior produttore d’Europa. Si tratta di numeri importanti, tanto da far pensare che il modo migliore per comunicare il problema potrebbe essere quello di sostituire alla unità di misura tradizionale (ettari/anno) i kg di cibo/anno o, ancor meglio, il numero di persone che quel suolo perso avrebbe potuto sfamare.

La questione alimentare ci ricorda come un altro dato allarmante riguardi lo stato di salute del suolo rimanente. Lo strato superficiale che ricopre la crosta terrestre contiene infatti uno dei più ricchi assemblaggi presenti sul pianeta di organismi viventi e di sostanze organiche non viventi (rifiuti e residui di animali e vegetali). Dalla delicata interazione tra questa componente organica e quella minerale emergono le molteplici funzioni ecologiche del suolo: la produzione di biomassa vegetale (base della catena alimentare), l’offerta degli habitat (in superficie ed in profondità), l’azione di regolazione (filtraggio e tampone) dell’acqua e di regolazione del clima attraverso il processo di evapotraspirazione. Funzioni tutte similmente impedite dall’impermeabilizzazione e dunque similmente in gioco quando si parla di consumo si suolo.

La FAO, fonte principale per la raccolta e l’analisi dei dati sull’uso e la consistenza dei suoli, con la sua Mappa Mondiale dei Suoli e la pubblicazione nel 2011 del reportThe state of the world’s land and water resources for food and agriculture (SOLAW), ha realizzato la prima valutazione globale sullo stato delle terre del pianeta. Ciò che ne risulta è che tutti i continenti stanno subendo un significativo degrado delle terre, con un’incidenza particolarmente alta in alcuni regioni delle Americhe, nella regione mediterranea dell’Europa Meridionale e del Nord Africa, nel Sahel, nel Corno d’Africa e in tutta l’Asia. Secondo il Natural Resource Conservation Service (NRCS) degli Stati Uniti la desertificazione infatti interessa già il 33% del suolo globale e insieme all’erosione, alla salinizzazione ed altri processi degenerativi (che riducono progressivamente la capacità del suolo di svolgere la sua funzione di substrato per le comunità biologiche), ha determinato una perdita del 20% della produttività dei suoli in Asia, India e Cina, e sino al 40% in Africa ed in alcune aree degli Stati Uniti come l’Ohio.

«Spesso la gente ha difficoltà a comprendere o anche solo notare le conseguenze della desertificazione» afferma José Luis Rubio, presidente della Società Europea per la Conservazione del Suolo «perché, in generale, sono poco visibili e passano inosservate. Tuttavia il loro impatto sulla produzione agricola, i maggiori costi economici dovuti ad alluvioni e frane, l’impatto sulla qualità biologica del territorio e gli effetti generali sulla stabilità dell’ecosistema terrestre fanno sì che la desertificazione sia uno dei più gravi problemi ambientali in Europa».

Tutti gli studi concordano sul fatto che consumo di suolo e perdita di qualità del suolo rimanente non sono fenomeni indipendenti. Infatti al cemento e l’asfalto che ricoprono ogni giorno nuovi pezzi di territorio, impedendo la naturale ricarica delle falde ed il raffrescamento naturale attraverso la traspirazione, fa da sponda la diffusione di una agricoltura intensiva ad alta irrigazione (con uso di concimi chimici, antiparassitari e pesanti macchinari che tendono a comprimere e compattare il terreno) che altera, inquina, sovrasfrutta ed impoverisce ulteriormente il suolo.

Le analisi del NRCS sottolineano come oggi solo il 3% della superficie terrestre possa essere considerata naturalmente fertile, mentre un altro 8% è suolo di seconda e terza categoria (su un totale di nove classi di qualità, di cui l’ultima considerata come la meno desiderabile per la coltivazione). Complessivamente questo 11% di suolo nutre oggi oltre 6 miliardi di persone. Il problema è che mentre la popolazione cresce (con 9 miliardi di individui attesi per il 2050), la produttività della terra diminuisce.

Se gli Stati Uniti possono considerarsi pionieri di studi sul sustainable soil management, è soltanto dalla seconda metà degli anni ’80 che i paesi europei hanno cominciato a considerare seriamente il problema del consumo di suolo, attivando delle politiche per il suo contenimento. La Germania (dove negli anni ’80 l’occupazione del suolo procedeva al ritmo di 120 ettari al giorno) è stata tra i primi paesi a riconoscere la necessità di intervenire, separando chiaramente l’obiettivo della crescita economica dalla crescita dell’occupazione del suolo e fissando un tetto quantitativo massimo al consumo di 30 ettari al giorno (fino al 2020). Rispetto agli obiettivi, i risultati effettivi di questa politica sono stati deludenti ma si è comunque ottenuta una flessione del consumo ed una forte crescita di consapevolezza del problema. La Gran Bretagna ha sviluppato un approccio diverso basato (piuttosto che sulla definizione di una soglia) sul suggerimento di una strategia alternativa al consumo, stabilendo a partire dal 2004 che il 60% delle nuove urbanizzazioni dovesse avvenire su aree dismesse. La Comunità Europea con il Soil Thematic Strategy ha espresso tre principi base per la protezione del suolo: limitare, mitigare, compensare. Ovvero ridurre e al limite azzerare il consumo attraverso una pianificazione capace di tenere in considerazione la qualità dei suoli e di orientare lo sviluppo urbano verso quelli di qualità inferiore (suoli già urbanizzati o compromessi). E poi, mitigare e compensare gli effetti della impermeabilizzazione attraverso trattamenti per il recupero di suoli (de-impermeabilizzazione, decontaminazione, bonifica e ricoltivazione, applicazione di nuovi strati superficiali e così via) ed azioni integrative come la realizzazione di tetti verdi (capaci di mitigare l’effetto isola di calore attraverso una certa evapotraspirazione).

Leonardo scriveva che sappiamo di più del movimento dei corpi celesti di ciò che sta sotto i nostri piedi, e ancora oggi forse sappiamo troppo poco di quella che è la radice, sempre più fragile, di tutte le nostre ricchezze.

Materiali di approfondimento:

URBAN Soil Managment Strategy Urban Soil Management Strategy_EU 2012

Buone pratiche per Limitare, Mitigare e Compensare l’impermeabilizzazione dei suoli su Impermeabilizzazione dei suoli_it

Vedi anche la lezione: Blue-Green Infrastructure

About paesaggisensibili

Architect and senior fellow of the McLuhan Program in Culture and Technology of Toronto University, I'm a member of the board of directors of the Italian National Institute of Architecture (IN/ARCH) in Rome, where since 2003 I am in charge of the Institute Master Programs. My studies are rooted in the fields of architecture and philosophy of science with a special interest in biology and anthropology. Key words for my research are: Man, Space, Nature, Technique, Webness, Ecology, Relations, Interactions, Resources, Energy, Landscape, Footprint, Past and Future. My goal is to build critical understanding of the present to suggest useful strategies to build the future.

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